Che padre fantastico! Perché è di lui che la parabola parla! Mettiamoci nei suoi panni. Abbiamo due figli. Il primo ci dice: «Visto che non ti decidi a morire, almeno puoi darmi la mia parte di eredità?».
Come reagiremmo? Il Padre, Dio, non fa una piega e gliela dà.
Dopo un po' di tempo viene una carestia. Che cosa penseremmo? Che stavolta dovrà tornare, e gli faremo sudare un po' il primo piatto di pasta? In effetti il figlio torna, lacero, logoro, stanco, e inizia un discorso che sa tanto di scuse interessate e non sincere. Ma il nostro padre in questione, che stava a scrutare dall'alto di una torre per vedere se per caso sarebbe tornato, non lo lascia neanche arrivare alla fine, lo fa lavare, cambiare, e fa allestire un grande banchetto.
Mentre siamo a tavola, arriva il figlio grande. «È tornato lo spendaccione? A me neanche un capretto per far festa una sera!». Non è che a questo punto ci scapperebbe qualche mala parola? Il padre della parabola, invece, si alza da tavola, va a cercare di convincerlo, a fargli capire che non è uno schiavo, che può prendere e usare quello che vuole.
Perché in fondo, soprattutto noi habitué sappiamo di avere proprio questo problema: serviamo, ma brontolando, perché non vorremmo essere lì, in quanto non abbiamo capito quanto sia bello. E brontolando, vediamo di stare il peggio possibile, così da poterci lamentare più forte. Dio ci guarda con un sorriso: «Ma figlio mio, perché stare male? Puoi fare festa quando vuoi. Ma se vuoi essere felice, impara da me, e rallegrati per chi decide di tornare a vivere con noi!».
La parabola non finisce, perché Dio non sa che cosa vorremo rispondere noi. È lì, in attesa di un nostro sorriso.
IV Domenica di Quaresima C ⇒Leggi il Vangelo secondo Luca 15,1-3.11-32