La nostra tradizione ha fatto del Natale qualcosa di straordinario, di eccezionale: ascoltiamo e cantiamo canzoni che nel resto dell'anno non frequentiamo; c'è quasi l'obbligo di scambiarci regali in quantità;
in nessun'altra festa si ripetono così; ci sentiamo chiamati a essere o almeno sembrare "più buoni, almeno a Natale!". Come se fosse una sospensione del tempo normale. Eppure i vangeli sembrano fare l'opposto: parlano di un evento unico nella storia, narrano della nascita del "re dei Giudei" e del salvatore di tutti, ma poi presentano un neonato, avvolto in fasce, da una coppia come tante altre, senza neanche un posto civile o nobile in cui essere accolto.
Persino il nome sembra richiamare questa normalità quasi banale. "Gesù" è la forma aramaica del nome che noi siamo abituati a sentire citare come "Giosuè", che più o meno significa "Dio salva". Si trattava di un nome molto diffuso. Usarlo nella forma aramaica, poi, cioè nella lingua che Maria e Giuseppe con tutta probabilità parlavano nel quotidiano ma che non era la lingua della preghiera, rendeva quel nome ancora più normale, consueto, sentito. Niente di eccezionale, anche se, ci dice il vangelo di oggi, era stato chiamato così dall'angelo dell'annunciazione.
È lo stile di Dio, da Gesù in giù. Anche noi, volendolo incontrare, non dobbiamo probabilmente andare a cercare esperienze straordinarie, stupefacenti, uniche, ma saperlo vedere nella normalità della nostra vita. Dio ci aspetta lì.
Solennità di Maria Ss. Madre di Dio ⇒Si potrebbe rileggere il vangelo secondo Luca, 2,16-21
