Nel modo di parlare del Primo Testamento, che Gesù conosce e copia, “glorificare” non significa esaltare, ma mostrare chi è davvero chi si ha davanti. Si glorifica un atleta non dicendo che è il più grande di tutti.
Ma raccontando le sue imprese sportive. Siamo nel contesto dell’ultima cena, Giuda è uscito per andare a tradire il suo maestro, e Gesù resta lì, a farsi arrestare e crocifiggere. Anzi, dice che questa sarà la sua gloria. Perché? Potremmo pensare che così mostra quanto è inflessibile nelle sue decisioni, o fino a dove è disposto ad ubbidire al Padre.
Ma Gesù sposta lo sguardo altrove, sull’amore che i suoi discepoli devono avere tra di loro, perché così facendo imitano il loro maestro. La gloria di Gesù, la sua impresa, ciò per cui può essere esaltato, non è la sua inflessibilità o il suo coraggio o la sua ubbidienza, ma il suo amore. Gesù non scappa, accetta la sua sorte fino alla morte, perché ama i suoi discepoli. Non se ne fa servire ma li ama, si dona per loro.
E invita i suoi discepoli a fare lo stesso. E ci ricorda, così, che la nostra impresa più grande, nella vita, è l’amore vissuto verso gli altri. È ciò che ci rende autenticamente umani, che dice il meglio su di noi.
V Domenica di Pasqua C ⇒Leggi il vangelo secondo Giovanni 13,31-35