Nei film, nei romanzi, nelle storie inventate, noi incontriamo personaggi magari cattivi e tanto difficili da sopportare che però, quando cambiano, procedono con sicurezza nel loro nuovo percorso.
Se però guardiamo alle vite nostre, ci rendiamo conto che quasi mai funzioniamo così. Abbiamo un’intuizione per migliorarci (“smetto di fumare”), iniziamo decisi, poi ci concediamo uno strappo, torniamo indietro, ci riproviamo, rallentiamo… anche quando alla fine arriviamo a cambiare, normalmente ci arriviamo per approssimazioni progressive, per tentativi, inciampi e recuperi.
I vangeli non sono lunghi romanzi e non mostrano quell’attenzione allo sviluppo delle persone che invece a noi piace così tanto. Eppure, cogliamo anche lì tracce di attenzione profonda alla nostra psicologia, perché sicuramente doveva essere un’attenzione di Gesù.
E allora da una parte ci sconvolge ma dall’altra ci conforta sentire Pietro, il primo dei discepoli, che, dopo la risurrezione, se ne esce con un: «Io vado a pescare». Come a dire che tutto ciò che è successo con Gesù, i suoi ultimi tre anni di vita, conclusi con la tomba vuota e le apparizioni del risorto, non hanno cambiato niente.
Possiamo stupirci, scandalizzarci, ma dobbiamo ammettere, magari a fatica, che anche noi siamo fatti così. E allora è di enorme conforto scoprire un Gesù che torna a farsi incontrare, a farsi scoprire, a chiamare. Un Dio che ha pazienza, perché ci capisce; non si scandalizza, ma non si stanca di cercarci e sperare che vogliamo rispondergli. III Domenica di Pasqua C ⇒Leggi il vangelo secondo Giovanni 21,1-19)