Già i padri della Chiesa vedevano nel balletto tra Pietro e “il discepolo che Gesù amava” la danza tra la ragione, il controllo, la ponderazione da una parte, e lo slancio di fede dall’altra.
Corrono entrambi, ma è il discepolo ad arrivare per primo; però poi non entra, lo fa Pietro, che constata i dati, anche se è poi l’altro discepolo e vedere e credere. Ancora oggi crediamo di dover fare attenzione a non sembrare creduloni, ingenui, a non buttarci: “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. E non c’è dubbio che sia sano vagliare delle promesse di vita, valutare se sono affidabili, andarci con i piedi di piombo. Nello stesso tempo, però, in tutte le questioni autentiche della nostra vita siamo chiamati a fidarci.
Chi si confiderebbe con un’amica solo quando fosse assolutamente sicura della sua affidabilità? Non parlerebbe mai! Chi si imbarcherebbe nell’imparare una professione solo dopo aver avuto la certezza di esserne capace? Chi si aprirebbe a un matrimonio, a dei figli, a una professione religiosa, solo con la sicurezza di esserne all’altezza?
Il “discepolo che Gesù amava” sta lì anche a dirci che non dobbiamo avere paura di lanciarci. Buono verificare, corretto chiedere verifiche. Ma solo se si accompagnano allo slancio di chi decide di fidarsi di un’amicizia, di una promessa, di una prospettiva.
Il Risorto sta anche lì a dirci: “Fidati, salta!”. Non salto al buio, ma perché c’è la promessa di chi crede in me.
Domenica di Risurrezione anno C ⇒Leggi il Vangelo secondo Luca 24,36-49