Gesù risorto, che compare tra i suoi, si presenta annunciando la pace. La augura ai suoi discepoli, la invoca dal Padre. E aggiunge immediatamente il perdono dei peccati.
È garanzia che questa pace non resti soltanto tra gli esseri umani, ma giunga dall’alto, come dono, anche da parte del Padre. Invita anzi a invocarla fiduciosamente. Aggiunge però qualcosa che potrebbe inquietarci: «A chi perdonerete i peccati, saranno rimessi; a chi non li perdonerete, resteranno non rimessi». Parrebbe quasi parlare di una specie di potere, da parte della comunità cristiana, nel gestire anche le cose di Dio.
Potremmo però, meglio, coglierlo come un appello. La risurrezione di Gesù, ingiustamente condannato e ucciso ma tornato tra i suoi ad annunciare la pace, dice, tra le tante altre cose, che il Padre non vuole lo scontro con gli uomini, non intende giudicarli. Ma vuole vivere in armonia e serenità, che si estendono, nell’augurio e nell’appello, anche alle relazioni tra gli esseri umani.
I quali però non sono semplicemente chiamati a mettersi in attesa che tutto arrivi dall’alto. Siamo coinvolti, dobbiamo fare la nostra parte. Siamo invitati a diventare collaboratori di Dio nell’opera di pacificazione. Dio ci dice che senza il nostro attivo intervento, la pace nel mondo e nelle vostre vite non giungerà.
Domenica in Albis anno B ⇒Leggi il Vangelo secondo Giovanni 20,19 -31