Nelle mie ore di sostegno, a scuola, capita di essere affiancata alle lezioni di diverse discipline. Sono presente alla lezione della collega di italiano, che tratta il XIII Canto dell’Inferno dantesco.
«... L'animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto...». Pier delle Vigne era notaio di corte e stretto collaboratore di Federico II di Svevia. Ottenne molto potere, ma poi venne accusato, forse ingiustamente, di tradimento e imprigionato dallo stesso sovrano. Così, in carcere, decise di togliersi la vita. Dante, pur sostenendone la sua innocenza politica, lo pone tra i suicidi del secondo girone del VII dell’Inferno dove fa scontare alle anime uno dei peccati più gravi.
“Con il morire”, farà dire Dante a Pier delle Vigne, “sono diventato ingiusto, contro me che ero giusto, che non ero colpevole”.
Inaspettatamente, dopo aver ascoltato il brano, una ragazza prende la parola affermando: «Ma prof se uno conduce una vita miserabile, che peccato commette nel suicidarsi, sarà pur libero di farlo!».
Silenzio.
Io e la collega siamo spiazzate, ci guardiamo. È un argomento difficile, è un tema molto delicato. Quali parole utilizzare? Come affrontare questo discorso con dei ragazzi all’inizio della loro adolescenza? Come collocarlo all’interno del periodo storico che stiamo vivendo? Non tutte le situazioni dei nostri alunni sono uguali, non tutte le famiglie sono uguali, molti di loro hanno vissuto le più disparate e difficili esperienze. Sono tutti di nazionalità diverse, di credi differenti. Come entrare nella questione “in punta di piedi”, senza ferire, senza accusare, ma con decisione?
Tutti questi pensieri si accavallano nella testa nel giro di breve tempo, mi risveglia da questo momento un’altra alunna. Prende la parola e con il suo tono deciso, simpatico, buffo: «Indipendentemente da tutto, la vita è un dono che ti è stato fatto. Quindi, anche se uno ha una vita miserabile… be’! Prende, si alza, si sveglia, si muove da quel divano e fa qualcosa!!! E fa di tutto per renderla il meno miserabile possibile e viverla degnamente perché è una cosa preziosa!». L’altra ragazza le sorride, si fanno un occhiolino e la lezione continua.
Anche qui rimango senza parole. Eccolo lì, il Dio della tenerezza e dell’amore, che, nella piccolezza e nella fragilità di un bambino… o meglio, di un adolescente, ci sostiene con straordinaria forza.
La vita ha sempre l’ultima parola… e quindi uscimmo a riveder le stelle.