In questo periodo, senza vie di uscita per tanti bambini e donne, che muoiono di fame, ci sentiamo impotenti. Torno sul vicino Medio Oriente. Ci scuote. Ci eravamo un po’ illusi di essere usciti dalle guerre.
Quelle del secolo scorso con i loro strascichi di sofferenza, dolore, morte e soprattutto ci sembrava di intravedere una strada per evitare il perpetuarsi di questi fatti. Invece siamo ancora qui…
Vorrei condividere la seguente riflessione, riassunto di un ampio ragionamento.
«Il dolore e le stragi di innocenti che abbiamo contemplato e patito nella nostra vita, non ci danno nessun diritto sugli altri e nessuna specie di superiorità. […] Dopo la guerra, abbiamo amato e commiserato gli ebrei che andavano a Israele pensando che erano sopravvissuti a uno sterminio, che erano senza casa e non sapevano dove andare. Abbiamo amato in loro le memorie del dolore, la fragilità, il passo randagio e le spalle oppresse dagli spaventi. […] Non eravamo affatto preparati a vederli diventare una nazione potente, aggressiva e vendicativa. […] Ho capito a un certo punto, forse tardi, che gli arabi erano poveri contadini e pastori. […] So con assoluta certezza che non voglio stare dalla parte di quelli che usano armi, denaro e cultura per opprimere dei contadini e dei pastori. […] La sola scelta che a noi è possibile è di essere dalla parte di quelli che muoiono o patiscono ingiustamente. Si dirà che è una scelta facile, ma forse è l’unica scelta che oggi ci sia offerta».
Così Natalia Ginzburg, scrittrice ebrea, su La Stampa il 14.9.1972, a commento dell’attentato alle Olimpiadi di Monaco.