È difficile non perdersi di coraggio. La guerra appare irreversibile. Come possiamo essere arrivati a tanto dopo il “mai più la guerra”, proclamato da più parti negli anni seguiti al secondo conflitto mondiale?
A Gaza, in Ucraina, in tante altre parti del mondo più lontane da noi e quindi meno pericolose per il nostro benessere, conflitti e guerre distruggono, uccidono, annientano l’umanità. Non riesco più a vedere i bambini con le casseruole vuote che attendono dietro le recinzioni a Gaza un po’ di farina, mai sufficiente a sfamarli. Il 22 maggio scorso lo scrittore israeliano David Grossman, persona lucida e ragionevole, esprime con sincerità il suo pensiero sull’attualità.
«Davanti a tanta sofferenza il fatto che questa crisi sia stata iniziata da Hamas il 7 ottobre è irrilevante», sostiene.
Nonostante il dolore, l’impotenza che ognuno prova di fronte a quanto vede, sente, legge, lui ha trovato motivo di incoraggiamento. “La speranza è resistenza”, “la speranza è un atto di protesta”, ha detto. Coraggiosa e spiazzante la sua affermazione. Una illusione per anime belle? Continuare a credere che ci sia una soluzione a quanto ci attanaglia in queste settimane, di fronte all’indifferenza mondiale, all’immobilità della politica, al silenzio delle organizzazioni internazionali deputate a tutelare i diritti, a me ha aperto un varco.
Non lasciar perdere, non arrendersi al male, ma credere che ce la potremo fare. Vivere questo atteggiamento come atto di protesta nei confronti delle brutture che vediamo, a cui assistiamo impotenti. E allora convintamente speriamo!