Sono venuta a Cuneo con un po’ di apprensione il pomeriggio di sabato 4 giugno. C’era il primo Gay Pride della città, rinviato di due anni a causa della pandemia.
La presidente dell’Arcigay Granda Queer aveva spiegato trattarsi di una festa, la festa dell’orgoglio gay. Perché non ero a mio agio? Sono ben consapevole del diritto per ciascunə di essere sé stessə, soprattutto rispettatə nella propria unicità e diversità, come riconosciuto da leggi e pronunciamenti. Soprattutto hanno il diritto di non essere derisə o bullizzatə.
Forse temevo l’eccessiva spettacolarizzazione? Ebbene ho incrociato una manifestazione vivace e non scomposta, che non creava disagio e rispettosa, pur senza nascondere nulla di quanto deve essere riconosciuto e dichiarato. Mi hanno toccato le parole di una mamma dal palco che ha invogliato, incitato altri genitori a rispettare i propri figli, comunque, amarli per come sono e soprattutto a non far finta di nulla, ad accorgersi di che cosa provano e vivono, di come sono. Mi hanno soccorsa le parole di papa Francesco che in più occasioni ha voluto esprimere la vicinanza alle famiglie, ai genitori, ai ragazzi.
«… Genitori che vedono orientamenti sessuali diversi nei figli: come gestire questo, come accompagnarli e non nascondersi in un atteggiamento di condanna».
Ricordiamo tutti la sua frase di ritorno dal Brasile nel 2013: «Se uno è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicarlo?». E aggiunse: «Non si devono discriminare o emarginare queste persone…Il problema per la Chiesa non è la tendenza. Sono fratelli».